Robin Academy Shooting Club

Gare, tiro dinamico, tiro difensivo



Robin Academy Shooting Club

N. cit 005


AMERICA 2004
Quando Fabio Guerra, presidente del “Robin Academy Shooting Club”, mi propose di accompagnarlo negli USA per il campionato mondiale Action Shooting mi venne spontaneo dire di sì, più che altro per l’abitudine a programmi grandiosi che muoiono prima di nascere.
Quando invece, dopo poche settimane, mi arrivò il plico dalla NRA contenente l’invito alla gara e tutti i moduli da compilare, mi trovavo diviso tra una sensazione di felicità e di panico di fronte all’ignoto.
Mi ero ritrovato, nel giro di meno di un anno, da conoscitore teorico della “bianchi cup” a concorrente della fase mondiale!
La cosa che più spaventava era la consapevolezza che la trasferta sarebbe stata completamente a nostro carico, quindi partecipare senza la certezza di un risultato “accettabile” poteva risultare un azzardo piuttosto pesante.
Comunque, dato che i dadi erano tratti cominciammo a programmare la “gita” per la manifestazione che si sarebbe svolta dal 26 al 29 maggio 2004.
Col tempo sorse l’idea di anticipare la partenza di qualche giorno per poter approfittare di una piccola avventura “on the road” e tastare come altre specialità di tiro venissero svolte oltreoceano.
Pertanto, con la solerzia tipica di un presidente, Fabio si preoccupò di trovare su internet eventuali gare di tiro dinamico sportivo o IDPA nel weekend antecedente al fatidico “Bianchi day”.
A cura di piccoli club dell’Illinois non una, ma ben due gare erano in programma il sabato 22 che, con l’atterraggio previsto a Chicago, sarebbero diventate facili preda dei nostri eroi .
Il viaggio, iniziato un fresco mattino dall’aeroporto di Venezia, a parte curiosi episodi di ispezione delle scarpe allo scalo di Madrid, si è svolto in maniera eccellente.
Una nota a parte meritano gli atteggiamenti delle forze dell’ordine nei confronti delle armi imbarcate.
All’imbarco italiano, la sezione Polaria di Venezia si è dimostrata efficientissima: solo pochi minuti per verificare la documentazione. Per assurdo abbiamo “perso” più tempo a spiegare, agli agenti incuriositi, come si svolgeva la gara e a ricevere gli “in bocca al lupo” da tutto lo staff della stazione.
All’arrivo a Chicago, preoccupati dall’accoglienza che ci poteva essere riservata dopo il tragico 11 settembre, eravamo invece ad un passo dalla farsa.
Innanzitutto stavamo già andando verso l’uscita quando sul tapis roulant dell’aeroporto spuntano le valigette delle armi e delle munizioni!
Le cose sconvolgenti si sono svolte, nell’ordine, al controllo immigrazione, alla dogana e al posto di sicurezza.
All’ingresso l’agente ci chiede: “siete negli USA per lavoro o turismo”, e noi: “beh! Veramente… per una gara di tiro…”; l’agente ci guarda con aria interrogativa e quindi prosegue: “allora avete delle armi con voi?”
Mettendo le mani ai vari documenti rispondiamo di sì ma l’agente, mantenendo il suo à plomb, ci timbra i passaporti, ci augura buona fortuna e ci invita ad avanzare in fretta perché la fila è ancora lunga dietro di noi.
Alla dogana ci chiedono se abbiamo qualcosa da dichiarare. Ovviamente diciamo di avere due armi a testa e delle munizioni con noi… “No! No! Vogliamo sapere se avete alcool, tabacco o esseri viventi con voi; per le armi dovete andare al posto di polizia”.
L’ultimo controllo rasenta la follia… un agente dall’aria molto simpatica ci chiede cosa possa fare per noi. Gli diciamo un ulteriore volta che abbiamo le armi per partecipare alla gara e questi ci augura ancora buona fortuna e ci invita a passare.
“ma come, non controlla le armi, i documenti…” gli chiediamo ormai più disorientati che preoccupati; “beh! Gia che ci siamo, fatemele vedere.”
Quando abbiamo aperto le valigette, gli occhi dell’agente si sono illuminati e ci ha chiesto se poteva prenderle in mano per provarle; dopo pochi minuti eravamo già sul pulmino dell’autonoleggio sempre più sconvolti dai severi controlli sulle armi.
Trascuriamo un viaggio senza storia per il cuore dell’Illinois in un pomeriggio nuvoloso; diciamo solo che le ore di viaggio e la variazione di fuso orario cominciavano a farsi sentire e quindi, trovato un motel (di infima categoria) affrontammo la prima notte in territorio americano.
La mattina dopo, rinfrancati da una colazione che sembrava un pranzo di nozze, partimmo verso il primo campo di tiro seguendo le indicazioni ricevute on-line.
Quando arrivammo sul campo non eravamo proprio sicuri di essere al posto giusto: si trattava di una vecchia fattoria con tanto di granaio, silo e macchine, proprio come nei film.
Appena dietro alcune persone stavano piantando dei pali al suolo e la presenza di sagome e armi alla cintura ci fece dire “siamo arrivati”.
Restava però il fatto che il “poligono” constava di due bonetti alti meno di tre metri, non c’era nessuna protezione laterale, c’erano case attorno (distanti, ma mica poi tanto) e la zona di riposo dei tiratori era posta più avanti della linea di fuoco!
Ci presentiamo e facciamo conoscenza con i locali, una ventina di tiratori della zona, dal neofita al master.
Come da accordi, il presidente del club concede a Fabio di partecipare alla gara e uno dei presenti gli offre in prestito un revolver e tutta l’attrezzatura necessaria per la gara IDPA.
Cinque esercizi ben strutturati, semplici ma tecnici, secondo criteri tipici IDPA nei quali Fabio ha dato il meglio di sé lasciando molti degli astanti a bocca aperta, compreso il proprietario dell’arma, una S&W mod.66, che non credeva che la sua arma potesse sparare così velocemente!
I tornado ci hanno dato requie fino alla fine della gara, ma verso mezzogiorno è venuto giù di tutto!
Dopo una bella foto di gruppo e i saluti ai nuovi amici, via verso altre avventure.
Circa 150 miglia ci separavano dalla seconda gara, quindi approfittammo della sosta in un “diner” per uniformarci ancora di più allo stile di vita “made in USA”.
Non disdegnamo nemmeno di dedicarci ad un po’ di shopping e di “turismo oplologico”; grazie alle pagine gialle trovate nel motel, ipotizziamo un itinerario per armerie della zona… gli amici da accontentare sono tanti e la voglia non manca!
Una prima armeria si trova in un paesino di 300 anime, lungo la strada principale; un curioso signore dietro il bancone aspetta qualche minuto per chiederci se ci serve qualcosa, mentre stiamo già adocchiando qualche bel coltello e qualche ottica a basso costo.
In questo negozio, tentando di comprare alcune scatole di 38 special a prezzo ridicolo, che nell’Illinois, non si possono comprare o noleggiare (sic!) armi o munizioni se non si è in possesso di uno specifico documento statale.
Scopriamo inoltre che per ottenere questo documento bastano due foto tessera, una copia di un documento d’identità e due giorni di pazienza, anche se si è stranieri!
Il secondo negozio, purtroppo ai limiti della chiusura serale, è un supplizio di Tantalo!
L’ufficio amministrativo è ricavato da un vecchio tram a cavalli sospeso su quatro colonne sopra il bancone principale; lungo i ballatoi, metri e metri di vetrine espongono qualcosa come 2500 armi dalle vecchie Walther ad aria compressa alle carabine avancarica, passando per tutti i revolver, le semiautomatiche, i fucili da caccia, le carabine ecc.
Riusciamo a recuperare qualche bella custodia per le armi corte e tanti gadgets locali prima che le luci si spengano (letteralmente) su tutto questo ben di Dio.
Raggiunto il paese dove si svolge la seconda gara, dovemmo percorrere ameno tre volte la strada statale dove doveva esserci il campo di tiro, ma non riuscivamo a vederlo ne a sentire i botti dei colpi.
Come indicazioni avevamo la vicinanza al campo di un grosso negozio di biciclette, e quello lo vedevamo!
Preso il coraggio a due mani, parcheggiamo e ci decidiamo a chiedere informazioni ad uno dei rari passanti.
Sorpresa! Il “campo di tiro” è una struttura indoor sotterranea, abbinata ad una piccola ma bella armeria.
L’organizzatore della gara ci accoglie calorosamente dicendo che siamo arrivati giusti in tempo. Il tempo di reperire un revolver (questa volta un Ruger GP100) e l’attrezzatura, e Fabio è di nuovo in linea.
Io declino per la seconda volta l’invito a partecipare: non avendo esperienza specifica di IDPA, ho preferito restare a guardare.
In questo caso, gli esercizi venivano allestiti e, quando tutti avevano tirato, con l’efficienza di operatori teatrali, le scene venivano rimosse e ridisposte per l’esercizio successivo in tempi record.
Visto che l’ora avanzava, l’organizzazione ha provveduto a reperire una quantità industriale di pizze (con un curioso condimento, ma molto buone!) a disposizione per tutti i presenti.
Verso la fine della gara, con un coro organizzato a tradimento, tutti mi imposero di affrontare, almeno fuori gara, l’ultimo esercizio.
Pertanto, dotato di una bella springfied in polimero, ho esploso i miei primi colpi americani senza infamia e senza lode.
La cosa curiosa di entrambe le manifestazioni era la totale mancanza di una anche simbolica premiazione.
Trascorsa la notte in un motel locale (migliore del precedente, ma ci voleva poco) abbiamo approfittato della giornata domenicale e della clemenza del tempo per dedicarci alla traversata degli stati di Illinois e Missouri per portarci finalmente a Columbia, dove si sarebbe svolta la Bianchi.
Già il primo giorno si comincia a fare sul serio: il campo della Chapman academy è aperto per i concorrenti che vogliono acclimatarsi con allenamenti “reali” sui quattro “events”, alla folle cifra di 5 dollari a testa.
Nel frattempo ci aveva raggiunto anche Marcello che, partito da Roma, sarebbe stato nostro vicino di camera e compagno di avventura per i momenti di svago.
Completati gli allenamenti rientriamo e approfittiamo dei confort che il nostro hotel ci forniva: sauna, piscina, palestra…
Il martedì è il giorno delle iscrizioni. Lo staff NRA è al completo e tutti i tiratori vengono registrati e vengono forniti loro i premi di partecipazione, sotto forma di un borsone dedicato alla manifestazione e di una serie di cataloghi e gadgets forniti dagli sponsor.
Facendo mente locale, ricordo che proprio a Columbia ha sede la famosa Midway Co. E, grazie al catalogone avuto in omaggio, cominciamo a pianificare qualche ordine.
Ma è ancora tempo di allenamenti.
Ci incamminiamo quindi verso il campo pratica dove è possibile sparare su impianti poveri ma perfettamente efficienti senonché, appena finite alcune serie al “practical”, si aprono le cataratte del cielo e il campo si trasforma in una palude.
Durante la pausa forzata approfittiamo anche per scambiare due chiacchiere con Doug Koenig, in fase di pulizia delle sue armi, che ancora non sa (ma probabilmente lo sospettava) che sarebbe stato proprio lui a vincere il prestigioso trofeo; resteremo sempre con il dubbio se siamo stati noi a portargli fortuna!
Se Dio vuole la pioggia cessa, quindi completiamo i colpi che ci mancavano e torniamo immediatamente in hotel a cambiarci, bagnati fino al midollo.
I tre giorni di gara sono abbastanza senza storia, almeno sul campo di tiro. Abbiamo avuto fortuna e i turni di gara ci consentono di concentrare l’attività di tiro la mattina in modo da lasciarci i pomeriggi liberi per un po’ di sano turismo!
Iniziamo subito con il practical il mercoledì mattina, non troppo presto; Fabio va alla grande, mentre io sforacchio il bersaglio alla meno peggio, ma con tutti i colpi dentro (e tanto mi basta, per ora). Probabilmente il problema alla spalla, che gli impedisce di andare a terra alle 50 yarde, impedisce al nostro presidente di concludere con un risultato pieno, comunque il suo 470 risulta accettabile mentre sul mio 391 stendiamo un velo pietoso.
Nel frattempo Marcello è impegnato al Moving dove, per cause ancora in corso di accertamento, perde una sagoma e limita i danni a 453 punti (è furente!)
Pochi minuti di pausa e siamo di turno alle barricate. Qui non c’è storia… un bel 480 tondo tondo permette a Fabio di superare indenne la prova a lui più congeniale.
Io mi fermo a 409 punti, che per il mio livello sono più o meno corretti, anche in questo caso con tutti i colpi a segno, anche se troppi nel Charlie!
Raccogliamo quindi le nostre carabattole e, vista l’ora tarda, partiamo per Jefferson city, capitale dello stato del Missouri, distante circa 50 miglia da Columbia.
La pioggia ci accompagna, debole ma insistente, sia per le foto di rito sotto il Campidoglio che durante un veloce Shopping lungo la Main street.
La cordialità degli esercenti, cui vengono poste le domande più strane dai quattro turisti italiani, è deliziosa! Addirittura un negoziante telefona ad un suo concorrente per chiedergli se aveva alcuni articoli che a lui mancavano…
Il rientro in serata ci vede seduti al banco di un ristorante australiano, con quattro boccali di Forster’s e delle mega bistecche davanti; domani siamo ancora in gara, ma noi “abbiamo il fisico”
Oggi Fabio ed io siamo di turno al moving mentre Marcello è ai piatti, più o meno alla stessa ora.
Solo contro il mondo (Fabio è all’altro poligono e Marcello si sta preparando) affronto il moving con la tranquillità di chi non ha niente da perdere, e infatti il mio 427 mi lascia soddisfatto.
Attimo di panico per Fabio che dopo aver tirato bene (perde in tutto 10 punti) scopre che i suoi bersagli sono stati tutti marcati con la “L” per le lunghe distanze,.
Di fronte la possibilità di ripetere l’event, resta concentrato in un dubbio amletico del tipo “ripetere o non ripetere, questo è il dilemma. Se sia più nobile per un uomo subire una retrocessione in caso di pareggio o tentare di ripetere la serie rischiando il patatrac?”
La scelta è quella di tentare la sorte e gareggiare ancora, scelta peraltro da me condivisa viste le capacità del personaggio!
Purtroppo la fortuna e cieca e la sfiga ci vede benissimo! Un charlie alle 15 yarde vanifica il tutto e Fabio chiude a 465 punti… Pazienza.
E Marcello? Ah, già! Era impegnato ai piatti.
Un riflesso traditore gli ha fatto perdere due ferri su una serie; un 460 che gli va molto stretto ma anche lui se ne fa una ragione e morde il freno per la gita a St.Louis.
Dopo un rapido pasto al Taco’s bell prendiamo la statale percorriamo i circa 200 km che ci separano dalla porta del West. Abbiamo in mano degli indirizzi di armeria e, grazie al navigatore di cui è fornita l’auto, cerchiamo di trovare qualcosa che allieti le nostre stanche menti.
L’unica che riusciamo a raggiungere, schivando i vari lavori in corso sulle strade, è posta in un quartiere collinare della metropoli.
L’armiere che ci vede entrare è sospettoso; quando sente che siamo italiani diventa MOLTO sospettoso, ma quando scopre che siamo negli USA per la Bianchi, cambia completamente atteggiamento e non ci molla più: ci racconta di sé, della città, delle elezioni e ci riempie di Gadgets.
Con una slitta per ottica e altri articoli introvabili da noi riprendiamo la strada per il centro della città, mentre la tempesta si fa sentire e comincia a riversarci addosso ettolitri d’acqua.
La visita al grande arco di st.Louis sembra compromessa ma, come d’incanto, la pioggia cessa proprio mentre siamo sul lungomississippi e quindi riusciamo a fare due foto ricordo. Il rischio è troppo alto per tentare una passeggiata, quindi ripieghiamo, con la morte nel cuore per una visita alla città in auto.
Sulla strada del rientro, Fabio è in piena paranoia! Continua a mugugnare “vediamo di tornare a casa presto! È tardi! Domani ci giochiamo la gara! Dobbiamo dormire!” e avanti così.
Quando passiamo a fianco di un casinò in riva al Missouri risuscita e, con voce squillante cambia registro: “ non è poi così tardi! Una piccola tappa non ci fa male! Sarebbe bene mangiare qualcosa! Fermiamoci qui…”
Dopo una cena frugale a base di zuppa di vongole e crostacei al vapore (che mangiata, ragazzi!) e una fetta di torta formato industriale, finalmente rientriamo in hotel e ci possiamo riposare per il turno del venerdì.
Ormai a noi mancano solo i piatti, mentre Marcello ha il tour de forces del Practical e delle barricate.
Una sventagliatina qui, una di là e Fabio perde due piatti concludendo con un 460 così così; io invece questa volta toppo di brutto e ne perdo ben 12, chiudendo a 360 un event che normalmente mi vede con 50-60 punti in più; l’unica consolazione è che questo risultato non potrà influenzarmi su altri event, dato che la gara per me è finita.

Alle barricate Marcello infila un Bravo, e quindi realizza un 478, mentre al practical sbaglia un po’ troppo e riesce a chiudere solo con 456 punti.
Quattro quesiti sulla natura della madre della fortuna che non ci ha accompagnato, quattro foto sotto le insegne della Chapman academy, e i nostri giorni di gara sono finiti.
Fabio, da buon presidente, guida il gruppo con 1875 punti, segue a ruota Marcello con 1847 e chiude il novellino (cioè io) con 1584
Abbiamo circa 6 ore prima del barbecue all’hotel con i boss dell’NRA, quindi approfittiamo per tentare una gita a Kansas city che si arenerà, invece, in un parco storico dove c’era un villaggio ricostruito come doveva apparire verso il 1850, rilassante ed incantevole.
Arriva finalmente il sabato.
La sera ci sarà la cerimonia di premiazione, la mattina intanto possiamo assistere alle finali tra i vari mostri sacri che hanno partecipato alla Bianchi: Koenig, Piatt, Fowler, Miculek, la Koo e tanti altri.
Un duello ai pepper che sarebbe stato molto interessante, se fossi riuscito a vedere quando estraevano e sparavano!
Il pomeriggio è dedicato alla sistemazione strategica dei bagagli e all’ultimo shopping nei centri commerciali locali, già la mente torna a casa dove le mogli e i figli ci aspettano.
Alla cena Marcello non c’è: ha preferito partire in anticipo per evitare le levatacce.
Peccato, perché è stato l’unico a portare a casa qualcosa!
Come già detto, il trofeo è stato vinto da Koenig, che è stato anche l’unico a realizzare l’en-plein con 1920 punti.
Per noi non è andata poi malissimo: Fabio è 39° assoluto, 35° open, 7° revolver, 13° international e 7° master; Marcello 60° assoluto, 55° open, 44° semiauto, 1° (evvvai!) categoria forze armate, 2° seniores (eh, l’età…), 5° newcomer, 20° international e 6° expert.
Posso ritenermi soddisfatto anch’io con i seguenti piazzamenti: 134° assoluto, 34° metallic, 29° revolver, 38° international, 13° sharpshooter, più la soddisfazione di aver sorpassato i miei ben più quotati amici in uno degli events collaterali, un simpatico giochino con un “duelling tree” dove sei piattini metallici venivano fatti ruotare da un lato all’altro di un supporto a forma di albero.
In gare come questa vengono premiati il 100% dei tiratori, i migliori con denaro sonante, i meno bravi con premi degli sponsor.
Nonostante il punteggi non di livello elevatissimo Marcello ha vinto un secchio di detergente per armi (non trasportabile in aereo) regalato seduta stante ad un amico americano, ed una serie di attrezzi, a Fabio sono andati altri prodotti detergenti e a me un ricercatissimo kit di pulizia della Otis oltre ad una libbra di polvere accurate, omaggiata ai nostri sportivissimi compagni di tavola, due newyorkesi che hanno affrontato la Bianchi con due Kimber ma con una sola molla di recupero in grado di gestire le cartucce da 120 di pf.
Buona notte a tutti…alle tre di mattina c’è la sveglia!
Con il buio pesto affrontiamo la lunga strada per Chicago; la radio che ci tiene compagnia lancia sempre più insistenti segnali di allarme tornado.
Una doverosa tappa colazione quando siamo già in Illinois ci permette di svegliarci completamente mentre il tempo “sembra” reggere.
A meno di 100 km da Chicago si aprono le cataratte del cielo; appena intravisto un autogrill ci fermiamo e ci ripariamo sperando di non fare la fine di Dorothy ne “il mago di Oz”.
L’ambiente è allegro e tutti i camionisti che vi stazionano non danno molta attenzione al clima. La Tv segnala che un tornado ha toccato terra a Yorkville…ma è dove eravamo noi la settimana prima!
Come è arrivata, la pioggia se ne va, lasciando un aria limpida e fresca, giusta per riprendere la strada.
Arriviamo puntuali all’autonoleggio dove lasciamo la fedele Sebring che ci ha scorrazzato per questi otto giorni e siamo pronti per l’imbarco: sono le ultime fatiche prima del lungo volo per l’europa.
Sbrigate le pratiche per l’imbarco (in pratica guardare fisicamente che le armi siano scariche!) ci meritiamo un bel pranzo al fast food dell’ O’Hara interntional airport.
Ci imbarchiamo con pochi minuti di ritardo e una volta a bordo la stanchezza si fa sentire; un sonnellino qui e uno lì, quando atterriamo a Madrid siamo già in buona condizione fisica.
A Venezia c’è mia moglie che ci aspetta; per me ormai è fatta, ma Fabio ha ancora 200 Km per rientrare a Odolo.
Quando finalmente arrivo a casa mi stendo sul letto con le coccole della mia piccola Elena; penso ai Piatti che ho mancato, alle persone che ho conosciuto, alla sera di gennaio quando fabio mi ha proposto il viaggio a Columbia, al modulo ATF che non voleva arrivare… Poi penso che è ora di pranzo, e che sarà meglio scrivere questo diario prima che la memoria mi impedisca di farlo.
Alla prossima occasione, allora!
Se ho fatto questa, posso farle tutte!

 





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